Motori nelle ruote: vantaggi e problematiche

La tecnologia “in-wheel motor” offre vantaggi in termini di riduzione degli ingombri a bordo dei veicoli, sicurezza e risparmio energetico, ma richiede la conformità a requisiti più stringenti e comporta qualche problematica in fase di progetto

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motori nelle ruote Mouser

di Mark Patrick | Technical Marketing Manager Emea di Mouser Electronics

Nel settore automobilistico, anche in presenza dei profondi cambiamenti tecnologici come quelli dovuti all’avvento dei veicoli elettrici, i progettisti preferiscono, laddove possibile, “giocare sul sicuro”, mantenendo nell’auto elettrica disposizioni e forme il più possibile simili a quelle di un veicolo con motore a combustione interna. I progetti dei veicoli elettrici prevedono quindi, normalmente, la sostituzione del motore tradizionale a benzina o diesel con un singolo motore elettrico accoppiato attraverso alberi di trasmissione, differenziale e, nel caso di veicoli a trazione anteriore, giunti a velocità costante (omocinetici). Non mancano progetti che prevedono motori multipli, che sono comunque collocati all’interno dello chassis e prevedono accoppiamenti meccanici con le ruote.

I vantaggi dei motori nelle ruote

Anche se l’integrazione di un massimo di quattro motori nei mozzi delle ruote potrebbe a prima vista sembrare un approccio più complicato rispetto a quello tradizionale, a livello di sistema i vantaggi sono evidenti: la trazione diretta sulle ruote permette di eliminare le perdite del sistema di trazione che si manifestano nel caso di un motore elettrico centralizzato, mentre non è più necessaria la presenza di un differenziale meccanico, con riflessi favorevoli sul peso complessivo. Un’azienda impegnata nello sviluppo di sistemi di trazione sul mozzo afferma che, grazie alla riduzione complessiva, in termini sia di peso sia di consumi di energia, è possibile conseguire un incremento dell’autonomia superiore al 30%, in funzione della dimensione della batteria e dei cicli di guida. Poiché i motori sui mozzi sono estremamente compatti e consentono di eliminare gli alberi di trasmissione e il differenziale, è possibile ampliare e conferire doti di maggiore flessibilità all’abitacolo. Nel caso di integrazione dell’elettronica dell’azionamento, è possibile anche semplificare il cablaggio, perché è necessaria una singola linea di potenza (e quella di ritorno) invece dei tre cavi per ciascun motore, richiesti qualora l’inverter di trazione fosse montato sullo chassis. L’inclusione del variatore di frequenza (Variable Frequency Drive) del motore all’interno del mozzo contribuisce a ridurre le emissioni elettromagnetiche generate dai cavi.

Uno dei principali vantaggi è la possibilità di migliorare dinamica e sicurezza della guida: un tradizionale motore a combustione interna prevede complessi meccanismi interni per evitare il blocco delle ruote in frenata e il controllo della trazione al fine di evitare lo slittamento delle ruote su superfici difficili e in curva. Il differenziale, dal canto suo, permette alle ruote motrici di avere tra loro velocità diverse in curva, in modo da ridurre l’usura degli pneumatici e migliorare la manovrabilità, e sono inoltre previsti alcuni meccanismi più sofisticati come lo “slittamento limitato” per l’uso fuoristrada. Sistemi di questo tipo possono essere anche molto complessi, con l’elettronica preposta al rilevamento della coppia e della velocità delle ruote (sia quelle effettive sia quelle richieste) ma, in ultima analisi, gli unici controlli disponibili sono la possibilità di aumentare o ridurre la potenza del motore o azionare il freno sulle singole ruote. Con un unico motore elettrico fisso questo livello di complessità, dal punto di vista sia elettrico sia meccanico, resta invariato, anche se, a differenza del veicolo a combustione interna, il motore può invertire la propria coppia generando un effetto frenante complessivo.

I motori integrati nel mozzo possono essere controllati singolarmente relativamente alla coppia, alla frenata e alla velocità della ruota desiderata in funzione delle rilevazioni effettuate dai sensori e dei comandi impartiti dal guidatore. Il controllo dinamico della trazione (torque vectoring) è in grado di fornire potenza a ciascuna ruota separatamente, in modo da ottimizzare manovrabilità e sicurezza. Sebbene il motore sui mozzi permetta di ottenere un effetto frenante convertendo in modo rigenerativo l’energia prodotta dalla rotazione della ruota in carica per la batteria e invertendo la propria coppia, è ancora prevista la presenza di freni a frizione o idraulici per evitare di sovraccaricare l’azionamento in caso di brusche frenate.

I motori integrati nei mozzi sono però percepiti in maniera abbastanza negativa, in quanto è necessario il ricorso a più motori, ciascuno con il proprio azionamento elettronico, con un costo combinato che è superiore rispetto a quello di una soluzione basata su un singolo motore a parità di potenza di uscita. Sarebbe bene però tenere conto dei risparmi energetici conseguibili e dei vantaggi legati alla sicurezza e alle prestazioni, che vanno ad aggiungersi alla maggiore autonomia e alla possibilità di disporre di un abitacolo più ampio.

Un ambiente severo

Un motore sul mozzo fa parte del peso non sospeso del veicolo, ossia è un componente che non è supportato dalle sospensioni e questo sicuramente influisce sulla manovrabilità, anche se alcuni test hanno evidenziato che non si tratta di un aspetto così accentuato durante la guida normale ed entro determinati limiti di peso.

Soprattutto, il motore, la relativa elettronica e gli altri componenti meccanici richiesti operano in un ambiente più severo rispetto a un singolo motore all’interno di uno chassis, dove è protetto da ammortizzatori e sospensioni a molla.

Si può affermare che i componenti non sospesi sono costretti a operare nelle peggiori condizioni possibili, sottoposti alla vibrazione e alle sollecitazioni provocate dal contatto con il manto stradale, colpiti da eventuali detriti e praticamente “indifesi” contro elementi corrosivi come l’acqua e il sale utilizzati per la manutenzione delle strade. Gli adiacenti freni a frizione possono diventare incandescenti e, sebbene siano contraddistinti da un’elevata efficienza, non bisogna dimenticare che un motore nel mozzo e la relativa elettronica generano una quantità significativa di calore. Per garantire una lunga durata e un funzionamento affidabile, il motore sul mozzo e tutti i componenti correlati devono quindi essere estremamente robusti, in quanto i guasti che potrebbero comportare un blocco o un’improvvisa perdita di trazione avrebbero conseguenze anche molto serie. Per questo motivo è richiesta la conformità allo standard ISO 26262 per quanto riguarda la sicurezza funzionale e i sistemi devono inoltre garantire il rispetto delle specifiche ASIL (Automotive Safety Integrity Level) di livello D, il più elevato. Per i singoli componenti, infine, sono richieste certificazioni specifiche: i dispositivi elettronici attivi e passivi devono risultare conformi alle specifiche AEC-Qxx ed essere realizzati da fornitori qualificati per il settore automotive che operano secondo le direttive specificate dagli standard di qualità ISO/TS 16949 (relativamente alle fasi di progettazione e produzione) e hanno ottenuto l’omologazione PPAP (Production Part Approval Process).

Che cosa considerare in fase di progetto

I progressi tecnologici hanno portato alla realizzazione di motori di dimensioni più piccole, ma quando si deve procedere all’integrazione del motore nel mozzo è necessario anche tener presente e dimensioni e il peso dell’elettronica dell’azionamento. I motori di trazione utilizzati sono per la maggior parte a magneti permanenti di tipo sincrono (PMSM) e richiedono un variatore di frequenza trifase implementato mediante un “ponte” di interruttori a semiconduttore controllato in modalità PWM (Pulse Width Modulation). Questo ponte viene commutato ad alta frequenza con un’ampiezza effettiva dell’uscita stabilità dall’ampiezza dell’impulso che rappresenta la coppia richiesta.

Sempre nel solco di un approccio conservativo, i progetti di veicoli elettrici nella maggior parte dei casi hanno fatto ricorso agli IGBT per svolgere la funzione di interruttori. Si tratta di una tecnologia proposta per la prima volta negli anni Sessanta che, sebbene migliorata con il passare degli anni, limita la velocità di clock della modulazione PWM per garantire livelli di efficienza ragionevoli, a causa delle perdite che si verificano durante la commutazione del dispositivo. È noto, infatti, che una frequenza più alta corrisponde a un numero maggiore di transizioni al secondo, con conseguente incremento delle perdite. Per tale motivo gli azionamenti, in particolare alle alte potenze, spesso commutano a una frequenza inferiore a 10 kHz, producendo correnti e tensioni di ondulazione relativamente elevate, una risposta non ottimale per il controllo motore e correnti di interferenza di modo comune e differenziale difficili da filtrare. La scarsa efficienza comporta inoltre la necessità di ricorrere a un dissipatore di calore di maggiori dimensioni che, a causa del suo peso, è difficilmente integrabile nell’azionamento sul mozzo.

Per aumentare la velocità di commutazione, con tutti i vantaggi che ciò comporta – miglior controllo e riduzione delle interferenze EMI, aumento dell’efficienza con conseguente diminuzione di peso e volume – per i motori sui mozzi sono state adottate nuove tecnologie di commutazione a semiconduttore. I dispositivi attualmente più utilizzati sono i Mosfet in carburo di silicio (SiC) che si distinguono per le basse perdite di conduzione e l’ampio intervallo di temperatura operativa e sono in grado di commutare con perdite minime, consentendo in tal modo di utilizzare frequenze per la modulazione PWM dell’ordine delle decine di kHz. I dispositivi SiC possono commutare a velocità dell’ordine del MHz ma, nel caso del controllo motore, ciò non comporta significativi vantaggi a differenza di quel che accade per gli alimentatori, dove una velocità di commutazione così elevata permette di ridurre in maniera significativa le dimensioni del trasformatore. Una caratteristica dei circuiti a ponte per il controllo motore è il fenomeno dell’inversione, ossia lo scorrimento della corrente in direzione opposta a quella normale durante il tempo morto di commutazione e la rigenerazione: per questo motivo è necessaria l’aggiunta di un diodo veloce in parallelo agli IGBT. Nel caso dei Mosfet SiC è presente un diodo intrinseco (body diode) in grado di assolvere tale funzione, anche se per garantire un livello di efficienza più elevato, è possibile escludere tale diodo e ricorrere a un diodo esterno. Attualmente sono disponibili Mosfet SiC contraddistinti da valori di corrente e tensione nominali adeguati per supportare i livelli di potenza più elevati necessari per i mozzi e le tensioni di batteria, che attualmente si aggirano intorno agli 800 kW. Nel caso di un motore singolo montato sullo chassis, l’azionamento elettronico deve fornire tutta la potenza del veicolo, che può essere dell’ordine di centinaia di kW, per cui la scelta tra IGBT e Mosfet SiC non è così ben delineata, anche se è bene ricordare che solitamente gli IGBT sono di più semplice reperibilità per i più elevati valori di corrente nominale.


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