L’Unione Europea, la pandemia e il paradosso della favola delle api

L’inadeguatezza dei metodi rigidi e burocratici che reggono le istituzioni dell’Unione Europea sta condannando quello che era il continente leader mondiale ad essere il nuovo terzo mondo, schiacciato tra le forze anglosassoni e quelle orientali

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Salini Unione Europea Italia

di Rossano Salini

Gioverebbe assai, a coloro che oggi reggono le sorti della sempre più stanca e desolata Unione Europea, rileggersi e comprendere a fondo le ragioni di un testo provocatorio come il poema satirico “La favola delle api” di Bernard de Mandeville. Il poeta olandese immaginava che la vita di un alveare, in cui, accanto a un certo benessere e a una generale laboriosa prosperità, vi erano al contempo diverse disuguaglianze sociali e una diffusa disonestà, veniva a un certo punto sconvolta da una radicale rivoluzione dei probi: capeggiato da un demagogo, che fino al giorno prima era stato il primo degli approfittatori, il popolo delle api chiese e ottenne da Giove un sistema improntato sull’onestà e la giustizia.

Nella nuova società, che con grande rettitudine aveva abbandonato tutto ciò che era superfluo, il lavoro cominciò però a scarseggiare sempre di più e molte api si trovarono costrette ad abbandonare l’alveare, che a poco a poco si spopolò fino a rimanere del tutto deserto e abbandonato. L’autore del paradossale apologo concludeva, con una massima provocatoria e scandalosa, che “il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa”.

Il fallimento dell’Unione Europea

Perché il messaggio di de Mandeville, nonostante i suoi oltre trecento anni di vita, mantiene intatta la propria originalità e modernità,  soprattutto oggi, nel contesto del generale e drammatico fallimento europeo sul fronte del Covid e dei vaccini? L’opera di Bernard de Mandeville ben si collega anche a una scandalosa affermazione, poi ritrattata, del premier inglese Boris Johnson, il quale in un incontro a porte chiuse con i deputati conservatori, si sarebbe lasciato scappare la seguente affermazione: “La ragione per cui abbiamo il successo del vaccino è grazie al capitalismo, grazie all’avidità, amici miei”.

Johnson, a capo di quella stessa nazione che – dopo essere uscita dall’Ue mentre tutta la stampa mainstream del continente suonava le trombe dell’Apocalisse e immaginava l’imminente sciagura britannica – ha sorprendentemente surclassato la medesima Europa sulla vicenda vaccini, guadagnandosi una “liberazione” anticipata dalle restrizioni che stanno ammazzando la nostra economia, ha poi ritrattato quelle parole. Si è detto pentito, e ha chiesto di non considerarle. Ma, piaccia o no, ha rivelato una grande verità, che la burocratica Europa, tronfia nell’affermare principi teorici e nel perseguire rigide procedure, non ha considerato: che nella tragedia dei morti per Covid e nel dramma sociale ed economico delle restrizioni, bisognava tagliar corto ed essere molto pragmatici nelle trattative con le grandi case farmaceutiche, produttrici dei vaccini. Bisognava portare a casa, subito e ad ogni costo, il massimo risultato possibile. Nazioni pragmatiche come Israele, Gran Bretagna e Usa non hanno tentennato su questo, e i risultati ora si vedono; la saccente Europa, invischiata nel proprio rigido formalismo burocratico, ha trattato invece con le case farmaceutiche guardandole dall’alto in basso, ponendo una serie di rigidi vincoli burocratici, e ottenendo come risultato un fallimento totale e disastroso su tutta la linea, con conseguenti ritardi pagati a caro prezzo dalla popolazione europea.

Si può ben dire che l’affare vaccini, con le sue disastrose conseguenze, rappresenti una sorta di pietra tombale sull’Unione Europea. È oramai evidente che la totale inadeguatezza dei metodi che reggono le istituzioni di Bruxelles sta condannando quello che un tempo era il continente leader mondiale ad essere il nuovo terzo mondo, schiacciato tra le forze del mondo anglosassone e del mondo orientale. L’Unione Europea dei burocrati, sia nelle istituzioni centrali che nei singoli capi di Stato delle varie nazioni, ha sbagliato su tutta la linea: ha impostato un piano totalmente fallimentare dietro il mantra del “vaccino gratis per tutti”, e ha gestito in maniera disastrosa e scandalosa la comunicazione in materia, soprattutto intorno al ben noto caso AstraZeneca. Morti, ricoveri e devastante crisi economica sono le conseguenze lasciate sul campo.

Il caso del vaccino AstraZeneca

Anche il citato caso AstraZeneca risulta particolarmente significativo per comprendere la situazione che si è generata. Al di là della questione comunicativa, che dovrebbe essere studiata nei manuali come esempio massimo di ciò che non si deve fare (si è creata in tutta Europa una paura e una diffidenza assolutamente e radicalmente ingiustificata, irresponsabilmente generata proprio dalle autorità europee e nazionali), quel che più stupisce è il fatto che sia stato proprio l’emblema del vaccino umanitario e non-profit a cadere vittima del medesimo meccanismo che ha portato alla distruzione dell’alveare di Mandeville.

La retorica anti profitto ha infatti schiacciato il progetto dell’azienda anglo-svedese sotto il peso di inadempienze e incapacità: voler produrre un vaccino low cost per tutto il mondo e anche per i Paesi poveri è un nobilissimo progetto, ma se poi non si tiene conto della propria capacità produttiva si finisce non solo con il fallire nella propria nobile idea, ma anche con il diventare incapaci di rispettare i contratti (tranne quelli con la propria nazione che, “avidamente”, si era già accaparrata la prelazione). Pfizer e Moderna hanno deciso invece di privilegiare i profitti, dando subito i vaccini a chi li ha pagati di più. Come insegna l’antica saggezza popolare, il meglio è nemico del bene. E il caso vaccini lo sta dimostrando.

Le conseguenze delle politiche europee

Ora non rimane che augurarsi che il peso degli errori commessi e dei ritardi accumulati divenga uno sprone per una rapida soluzione almeno dell’immediato, in modo tale che l’Europa non fallisca nell’obiettivo basilare, quello cioè di arrivare per lo meno a una diffusa campagna di vaccinazione entro l’autunno di quest’anno, così da scongiurare una nuova stagione di chiusure per il prossimo inverno, dopo che presumibilmente l’estate porterà a un generale miglioramento della situazione come già avvenuto l’anno scorso. Ma al di là del fatto che si possa in extremis mettere una pezza, e riuscire a salvare il salvabile, il fatto degli errori commessi in questi mesi rimane e continuerà a pesare come un macigno. L’Europa non è più sé stessa: dietro la coltre di principi astratti e di rigide formalità, attua politiche che fino a ieri potevamo criticare come semplicemente sbagliate o inefficaci; oggi, mentre vediamo che quei difetti strutturali non si modificano nemmeno di fronte ai ricoveri in ospedale e ai morti per Covid, capiamo che quelle politiche sono anche gravide di tragiche conseguenze. Un processo irreversibile che condannerà sempre di più il nostro continente alla marginalità nei prossimi decenni.


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