Nel business, sbagliare non è sempre un errore: i consigli di Cariplo Factory

Sbagliare serve ad affinare le idee e i progetti. Spesso gli errori sono di metodo, altre volte di pratica, ma anche funzionali o di processo. Bisogna imparare a conviverci e a lavorarci insieme. 

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Noseda Cariplo Factory

“Nonostante sia dai fallimenti che nascono consapevolezza e determinazione, in Italia, la cultura del fallimento, ossia quell’approccio che considera un insuccesso come una possibile occasione di crescita, è un tabù inviolabile”. Lo sostiene Marco Noseda, Chief Strategy Officer di Cariplo Factory, che spiega: In Italia ci sono quasi 11mila start-up innovative: purtroppo, solo poche sopravvivono più di tre anni. Molte alzano bandiera bianca perché incapaci di competere con la concorrenza, altre perché non hanno un modello di business sostenibile o semplicemente per errori di processo che rendono inadeguato un prodotto”.

Del resto, non a caso si dice che “sbagliando si impara”…

Sì, come accade in America, spesso la consapevolezza dei propri errori è alla base del successo: senza la capacità di aver commesso un errore, lo si ripeterà all’infinito. Sbagliare serve ad affinare le idee e i progetti. Spesso gli errori sono di metodo, altre volte di pratica, ma anche funzionali o di processo. Bisogna imparare a conviverci e a lavorarci insieme.

Perché il fallimento può essere una lezione per le imprese?

I grandi investitori diffidano di chi non ha mai fallito: quando affidano i loro soldi a qualcuno, tendono a scegliere un imprenditore che ha già commesso degli sbagli perché confidano che abbia imparato qualcosa. E se a livello di start-up il concetto ha iniziato ormai ad affermarsi, grazie anche a modelli di leadership agili e moderni, sul fronte delle aziende più strutturate il percorso resta ancora lungo. D’altra parte, si tratta di due soggetti che hanno una cultura dell’errore spesso diametralmente opposta. Al punto che non è raro individuare realtà che pur con affinità industriali e obiettivi complementari non riescano ad instaurare una relazione proficua. Questa divergenza d’opinioni spesso rende difficile la convivenza e la collaborazione tra start-up e corporate, senza l’aiuto di un terzo indipendente capace di agire come mediatore culturale.

Ecco che qui si inserisce la proposta di Cariplo Factory…

Come Cariplo Factory lavoriamo proprio nel punto di incontro tra queste due realtà e abbiamo un registro piuttosto ampio di queste “incomprensioni”. Può capitare che durante un Selection Day, in cui le startup presentano i propri progetti alle corporate, i neo-imprenditori temano che qualcuno dei competitor possa copiare la loro idea o perfino rubarla. È un sentimento comprensibile, che però non ha grande riscontro nella realtà: i casi in cui un progetto si può effettivamente copiare sono pochissimi, perché ciò che conta e fa la differenza non è (quasi) mai l’idea in sé ma come viene realizzata.

Ci fa qualche esempio di dialogo non riuscito tra startup e corporate?

Molte volte sono le imprese più strutturate che non riescono a instaurare un dialogo con la startup. Può accadere che una corporate cerchi di avviare un progetto di innovazione e inizi a collaborare con una startup. Tuttavia, definiti gli obiettivi del progetto, al momento di entrare nel vivo delle attività, qualcosa si inceppa nella comunicazione. Perché? Perché, in certi casi, le strutture e i processi della grande azienda impediscono un dialogo agile con il team della startup, che rischia di sentirsi “schiacchiata” dal peso della corporate. Il rischio è che avvenga una contaminazione al contrario, cioè invece di essere la startup a portare creatività e agilità nel progetto, è la corporate a introdurre lentezza e rigidità (che, paradossalmente, sono i fattori per cui spesso si attivano percorsi di open innovation).

Dal lato startup, invece, che cosa può complicare il percorso?

A volte la startup, per inesperienza, non mette in conto che la collaborazione con una corporate assorbirà tempo ed energie sin dalla sua fase pilota, perché un’azienda consolidata ha necessariamente tempi e processi più lunghi e complessi di quelli di una giovane impresa. Un errore molto comune che deriva dalla mancata conoscenza dei processi aziendali è l’annuncio, da parte della startup (a giochi di validazione fatti), di una partnership con un grande marchio, senza però aver prima definito con la controparte tempi e modi. La comunicazione, si sa, è un tema sensibile e può generare non pochi mal di pancia. In tutti questi casi, se non si trova un dialogo, il risultato potrebbe essere quello di perdere un’occasione importante. In fondo, da una parte abbiamo le startup che vedono il tempo come un tiranno che scappa via e sono disposte a tutto per non perdere l’occasione, dall’altra parte ci sono le corporate che prima di iniziare qualunque percorso hanno bisogno di validare un processo per non commettere errori.  Approcci diametralmente opposti che però possono imparare a conoscersi, capirsi e collaborare in modo reciprocamente vantaggioso.

 

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