Ripartire dopo il Covid-19 senza più perdere tempo

In tempi di Covid-19, indecisioni, rinvii e indugi stanno pesando in maniera devastante su una situazione economica che, in Italia, era già particolarmente critica

23
Covid-19 Ripartire

di Rossano Salini* |

Secondo Tucidide, una delle principali virtù dell’uomo politico era quella di sapere cogliere e sfruttare al meglio il momento opportuno, il kairòs: uno spazio di tempo definito, una sorta di momento critico, in cui l’uomo con responsabilità decisionali in campo politico e militare deve saper giocare la propria capacità di intervento, così da determinare gli eventi futuri.

In questa drammatica vicenda del Covid-19 la lezione di Tucidide a quanto pare è del tutto ignota alla quasi totalità degli attori decisionali in campo. Mai come ora, infatti, al di là delle specifiche decisioni, il fattore tempo ha un’importanza fondamentale. Eppure, dall’Italia all’Europa, assistiamo a un balletto di indecisioni, di rinvii, di gravissimi indugi che stanno pesando in maniera devastante su una situazione economica che, in Paesi come l’Italia, era già particolarmente critica anche prima della pandemia.

Ripartire dal livello europeo

Il primo livello in cui sarebbe necessario avere un’azione rapida e incisiva per ripartire dopo la grave crisi economica generata dal lockdown per il contenimento del Coronavirus è il livello europeo. Le ultime decisioni prese, in particolare sull’istituzione del cosiddetto “Recovery Fund”, sembrano muoversi nella direzione giusta. Ma, come detto, tutto in maniera drammaticamente lenta. La crisi è iniziata a fine febbraio; le decisioni, se tutto va bene, dovrebbero incominciare a vedersi a giugno. Un lasso di tempo spaventosamente ampio e del tutto inadeguato alla gravità dei tempi che viviamo.

Cosa ha portato a questi ritardi, e cosa sta generando tanta confusione e incertezza? Ci sono intoppi che possono essere ascritti a una sorta di egoismo nazionale, e altri riconducibili a blocchi e “tic” di carattere ideologico. Entrambi gravi. L’egoismo nazionalista, portato avanti principalmente dagli stati del blocco germanico-nordico (paradossalmente quelli etichettati come più “europeisti” sono in realtà i maggiori difensori di interessi particolari contro la solidarietà europea), pone vincoli eccessivi sulle modalità di intervento e genera ritardi inaccettabili. Così come generano ritardi quelli che ho definito “tic” ideologici, posti ad esempio da coloro che balzano sulla sedia solo a sentire la parola Mes a prescindere dalla tipologia di condizionalità che questo strumento implica, in particolare nella sua forma rivista rispetto al precedente Mes.

La strada da seguire è una sola: concentrarsi solo e unicamente sull’oggettivo contenuto delle misure da mettere in campo, e rendersi conto che se uno solo dei Paesi europei rimane schiacciato da questa crisi anche gli altri ne pagheranno le conseguenze. Se non si capisce il valore della solidarietà tra Stati, almeno si valuti la cosa in termini di convenienza e di lungimiranza.

Le misure in campo

Le misure in campo a livello europeo sono quattro, relative tutte all’aspetto finanziario. Il “nuovo” Mes, con fondi destinati esclusivamente all’emergenza sanitaria con una proporzione del 2% del Pil, quindi per l’Italia circa 36 miliardi di euro; un piano della Bei, per progetti di rilancio economico, con un budget che potrebbe essere sui 300 miliardi, ma lo sapremo solo a giugno; il Fondo Sure, con 100 miliardi a interessi prossimi allo zero e destinati a cassa integrazione e interventi simili; e infine, la vera novità, il cosiddetto “Recovery Fund”, cioè la nuova versione degli Eurobond di cui si è parlato a lungo, vale a dire (semplificando) obbligazioni garantite dal bilancio dell’Unione Europea e non dai singoli Stati, e da restituire in 30 o forse anche 50 anni, destinate anch’esse a finanziare gli investimenti. L’entità dovrebbe essere superiore ai 1.000 miliardi, forse anche 1.500, ma anche questo lo sapremo nel dettaglio solo a giugno.

Un quadro da cui emergono due elementi importanti. Innanzitutto il fatto che incaponirsi sul Mes come se fosse il demonio, viste le cifre globali in campo, è francamente ridicolo. L’Italia deve trovare 500 miliardi altrimenti fallisce, e siamo qui a discutere da settimane con toni sopra le righe se prendere o no i 36 miliardi del Mes. Pazzesco.

In secondo luogo, l’altro elemento che salta all’occhio è che tutto il quadro preciso in termini finanziari sarà chiarito solo a giugno. Il che indebolisce terribilmente il tutto: le misure infatti sono sulla carta tutte buone, alcune potrebbero anche essere ottime. Ma la dilatazione del tempo manda tutto all’aria, e intanto molte imprese falliranno.

Il livello italiano

La centralità del fattore tempo ci aiuta anche a capire la gravità della situazione italiana. Partiamo dal fatto che la crisi generale è generata dalla presenza, nel nostro Paese, del lockdown più stretto e duraturo tra quelli applicati in tutti i Paesi occidentali: una misura che tutti abbiamo accettato di buon grado, ma che ha un difetto nel manico. Siamo stati costretti ad arrivare a una situazione del genere per il fatto che all’inizio, quando già a gennaio si sapeva che stava arrivando qualcosa di grave dalla Cina, nessuno ha preso decisioni conseguenti. Nessun piano sanitario degno di questo nome, se non barricare tutti in casa. Di fatto, nel 2020 sono state prese le stesse decisioni che erano state prese contro la peste del 1600.

E poi il balletto inverecondo su “fase 1” e “fase 2”, fatto sulle spalle delle imprese. Due fasi che immediatamente dovevano essere concepite insieme, con protocolli chiari e con scelte strategiche e tempestive, e non con l’intervento di task force insediatesi dopo due mesi di chiusura. Abbiamo assistito a interventi tardivi e per di più fortemente discutibili, come quelli basati sui codici Ateco: roba vecchia di 20 anni, come le imprese sanno bene, in un contesto economico in cui non esistono filiere staccate, ma tutte sono ormai fortemente interconnesse tra loro. Un miscuglio, insomma, di azioni o incomplete, o sbagliate, o fuori tempo massimo.

Fare presto per ripartire

Ritorniamo dunque al punto di partenza: la cosa più importante, cioè fare presto, è stata la più disattesa in questa fase, a tutti i livelli decisionali. D’altronde, come ben sappiamo, il fattore tempo è stato all’origine stessa di tutta questa gravissima crisi sanitaria mondiale: i ritardi della Cina nel prendere decisioni e nel comunicare l’effettiva entità della situazione è stato l’elemento scatenante della pandemia. Complice in questo anche l’Oms, che ha dimostrato tutta la propria inadeguatezza.

Ora sappiamo che ripartire, in sicurezza, è la priorità per tutti, in particolare per le imprese e per tutto il settore produttivo. Purtroppo, la prospettiva che abbiamo di fronte, viste le indecisioni a livello italiano ed europeo, è che sarà solo il manifestarsi delle conseguenze gravi, in alcuni casi anche gravissime, di questa situazione che potrà finalmente dare la sveglia ai soggetti decisori.

Anziché un’azione tempestiva, si tramuterà tutto nel suo contrario, cioè una corsa contro il tempo per salvare il salvabile. Speriamo almeno che l’esperienza insegni, e che questa assurda e tragica vicenda si possa tramutare in una grande prova per eventuali e consimili scenari futuri. 


* Rossano Salini, laureato con lode in lettere classiche, dottore di ricerca in italianistica, è giornalista professionista. Ha pubblicato articoli e interviste su diverse testate nazionali 

Articolo precedenteIoT: da Ptc un e-book su come sfruttare i vantaggi dei prodotti connessi
Articolo successivoIl Machine Learning al centro di una challenge di Kirey Group, Gimme5 e Università Milano-Bicocca

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui